Grazie dei pesci

Di Roby Noris



Casualmente, per la prima volta, mi è capitato, incredulo, di vedere 5 minuti (è il massimo della resistenza) di un talkshow televisivo che milioni di persone pare conoscano perfettamente, in cui una copertine/coppia giocherella sui suoi veri o presunti sentimenti amorosi; i due vengono “provocati” da due provocatori di sesso opposto e rivedono i filmati della “provocazione”, non so cosa preveda poi la scaletta ma penso che non si discosti dalla mediocre noiosissima prurigine sessuale del passaggio colto al volo. Continuo a chiedermi quanti genitori preoccupati degli attacchi della pornografia via internet ai propri figlioletti siano coscienti che i varietà televisivi inflitti a tutte le ore al grande pubblico fanno probabilmente più danni “cerebrali” irreversibili.
Venti minuti dopo la mia traumatica esperienza di contatto col mondo reale mi sedevo in regia (del nostro studio TV di Caritas Insieme a Pregassona) dove Michela Bricout, la mia compagna di banco, stava montando il servizio per la prossima trasmissione con le interviste ai relatori del congresso “Per una convivenza tra i popoli. Migrazioni e multiculturalità” in ricordo del vescovo Eugenio Corecco nel settimo anniversario della morte (vedi art. a pagina 40). Una piccola oasi paradisiaca dove l’intelligenza, l’acume, la capacità di sintesi, la genialità, erano quasi palpabili.
Unico neo, il fatto che spesso lucidissimi pensatori usino un linguaggio talmente ostico anche per esprimere concetti di per sé accessibili, rendendoli così incomprensibili ai più.
Comunque mentre milioni di telespettatori stavano beandosi delle idiozie del talkshow che avevo incrociato e non doveva essere ancora finito, io ero invece immerso, e graziato, in una serie di considerazioni argute e profonde che avrei condiviso il sabato successivo con uno sparuto gruppetto di telespettatori fedeli di Caritas Insieme (qualche migliaio al massimo, ma sono già molti, e comunque più di quanti hanno potuto partecipare al congresso); con loro avremmo ascoltato dotte disquisizioni sulla multiculturalità, approfondendo la questione dell’incontro fra culture diverse, e se questo dialogo è possibile come si possa realizzarlo.

E sempre con questo sparuto, forse anche più ridotto, gruppetto di intellettuali un po’ masochisti (quelli che hanno l’autoradio sintonizzata su Rete 2), domenica mattina (replicato lunedì a mezzanotte!) mi sono goduto a “Paganini”, sulla TSI, un gioiellino di documentario intitolato “Un’altra vita” su un corso di violoncello ad alcuni ragazzini di Minsk in Bielorussia, con un insegnante appassionato e carismatico, che spiegando i pezzi ai suoi allievi ne faceva rivivere la struttura rendendo quasi tangibile la forza emotiva carica di significato di quelle note; ricordate nel film Amadeus di Forman quando Mozart morente detta a Salieri il Confutatis? Il genitore di un allievo del documentario, anche lui musicista, riferendosi alla drammaticità del contesto sociale in cui vivono, parlava dell’esperienza musicale come di una “certezza”.

Ho scaricato da internet alcuni pezzi musicali in Mp3 del compositore Karlheinz Stockhausen e di Sainkho Namtchylak una cantante siberiana della regione di Tuva vicino alla Mongolia, entrambi musicisti straordinari che purtroppo non posso far ascoltare quasi a nessuno perché il gusto musicale medio non permette di gioire di queste perle che appaiono alla maggior parte di coloro che mi circondano, quando sono benevoli, come strani suoni: ero quindi sorpreso e particolarmente gratificato nel vedere che dopo qualche ora da qualche angolo del mondo qualcuno si è collegato col mio PC per poter scaricare e ascoltare a sua volta quei pezzi musicali.

Ma cosa fa la differenza fra i milioni, forse miliardi, di persone che si divertono con stupidissimi talkshow (o sognano di poterlo fare aspettando che le parabole arrivino anche da loro) e quei pochi che in modi diversi cercano il senso dell’esistenza, sono affascinati dalle possibilità del pensiero umano, contemplano opere d’arte, approfondiscono temi sociali e lottano per un mondo più solidale, hanno sete di conoscenza, e perdono quasi sempre le loro battaglie? Non credo ci siano particolari privilegi incisi sulla mappa genetica di nessuno ma che tutto, o quasi tutto si giochi sul fronte dell’acquisizione di informazioni, sulla loro elaborazione e sul modo di entrare in relazione con gli altri a partire da questo patrimonio; l’educazione insomma, la fatica dell’apprendere e del crescere e relazionarsi nel maturare quanto appreso.

In un divertente libro di fantascienza “Diario di un autostoppista galattico” lo scenario è quello della distruzione della terra poiché intralciava il passaggio di un’autostrada galattica. I piani di questi lavori erano a disposizione di chi volesse consultarli ma nessun umano andò mai a vederli, né si preoccupò mai minimamente nonostante i numerosi richiami. All’avvicinarsi dei lavori, poco prima della distruzione del pianeta, i delfini, che in tutti i modi avevano cercato di comunicare agli umani l’urgenza della questione, sgomenti di fronte a tanta stupidità se ne andarono lasciando questo messaggio (diventato poi il titolo del terzo libro di questa saga): “ADDIO E GRAZIE DEI PESCI”.

Sperando che i delfini si sbaglino, sperando che valga la pena di insistere nel tentativo di comunicare anche con chi sembra comprendere solo il linguaggio dei talkshow che finirà per convincere tutti che “Il grande fratello” non è mai stato un libro apocalittico di Orwell ma solo una forma divertente di “real TV”, in attesa dell’inizio dei lavori dell’autostrada galattica, cordialmente vi auguro Buona Pasqua.